giovedì 13 novembre 2014

Ebola in Texas o leggenda metropolitana? Il ruolo del web tra malafede e ignoranza

Marta Serafini, nel suo blog "6 gradi" su Corriere.it riporta una storia che è diventata virale su Facebook. E cioè quella della cittadina di Purdon, in Texas, messa interamente in quarantena dopo che a un componente di una famiglia è stato diagnosticato l’Ebola.
"Questa notizia - specifica Serafini - è totalmente inventata. Ma oltre 340 mila persone l’hanno condivisa sulle loro bacheche credendola vera".

Secondo Craig Silverman, fondatore di Emergent.Info, gruppo che si occupa di monitorare la diffusione delle bufale sul web, questo è solo l’ultimo capitolo di un fenomeno già noto da tempo. Ci sono notizie false che vengono messe in circolazione su certi tipi di siti al solo scopo di generare traffico, condivisioni e like. Notizie che, però, generano il panico e si ingigantiscono.
A volte si tratta di storie create ad hoc dagli uffici marketing per creare "buzz" su un determinato argomento. Altre volte sono i siti di bufale che le diffondono per attirare click.
A volte addirittura le notizie, che vorrebberoe ssere, nelle intenzioni, degli autori, esplicitamente false, vengono pubblicate su siti è di stampo satirico ma, dopo che la notizia inizia a girare sulle bacheche social, accade talvolta che qualche organo di informazione più accreditato la riprenda e la riproponga come “vera”. A volte in buona fede a volte no. In altri casi capita infatti che sia la mancanza di controverifiche a far scattare questo meccanismo. Ma c’è anche chi ci mette del dolo. E sfrutta morbosità e argomenti di sicuro richiamo (dal sesso alle malattie) per attirare utenti.

"E si tratta - scrive Serafini - di una strategia che fino ad oggi ha dato buoni frutti". Il sito National Report ha ottenuto in un solo giorno 2 milioni di visitatori unici diffondendo la bufala di cui parlavo all'inizio sulla cittadina del Texas infettata da Ebola. Ottenendo un numero maggiore di contatti che spesso si traduce in maggiore investimenti pubblicitari. "Non importa se le informazioni veicolate sono verificate o meno. Soprattutto agli inserzionisti meno “raffinati” interessa stare sulle pagine dove vanno tutti. La faccenda preoccupa anche Facebook. Se infatti il social network di Zuckerberg vuole accreditarsi come veicolo di informazione e attirare investimenti pubblicitari di qualità non può ignorare che le sue bacheche diventino un mezzo per diffondere link tossici”.

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